LA MITOLOGIA BORGHESE DI FRANCESCO VAGLICA
Francesco Vaglica, di origine siciliana, ben denunciata dagli occhi neri e dalla carnagione scura, è nato a Roma. Roma lo ha educato all’arte ed alla vita! Un’artista semplice, che ama confrontarsi con le turbolenze di questa cultura che difficilmente concede, e poco apre le braccia, ai giovani ed agli iniziati. Vaglica ha 25 anni ed é il più giovane chiamato a verificarsi al Centro Studi 70 in "Incontri di Tendenze" E’ studente in Storia dell’Arte alla Sapienza.
Anche se Roma ha indubbiamente determinato caratterialmente il suo attuale essere sociale, la Sicilia é rimasta profondamente radicata nel suo animo. Non a caso il mito, e la credibilità che si concede alla superstizione, sono elementi che si acquisiscono sin dalla tenera età; affascinanti come la favola, suggeriti dai genitori e dagli ambienti.
Nelle opere di F.Vaglica la mitologia scolastica si confonde con quella della vita quotidiana che apre gli occhi al. fascino dell’incredibile e del fantastico. I suoi eroi, Icaro, Filippide, Minerva, Perseo, non sono certo diversi dai nostri falsi eroi del quotidiano che affollano gli stadi o le tribune politiche, che guidano una rombante Ferrari o che trascinano le folle verso sogni di libertà o di potere. Fascino dell’utopico, memoria dell’infanzia e della nenia.
Lo dicevamo comunque in altre circostanze:- I1 pretesto non compromette mai l’intento. -Vaglica, infatti, utilizza gli schemi della mitologia, e non solo di essa, per parlarci un po’ dei suoi sogni traditi, delle sue fatiche sociali mortificate nella ricerca d’uno spazio umanamente dignitoso. Le sue opere, che sono vestite di luce e colore, s ‘impongono all’aridità d’uno sperimentalismo freddo e concettuale, gioco ormai di certe avanguardie che hanno dimenticato il significato artigianale d’un pennello e della luminosa biacca.
Il suo dipingere è un corretto uso del codice pittorico che lui reinventa nella sintassi e nella forma. Pertanto, riducendo il fascino del mito alla caducità del reale traduce le forme e le masse umane in volumi apparentemente informi, che ricordano un po’ la pietra campestre ed il macigno d’una rupe. Un intreccio di colori che si mescolano con i sentimenti, più che di linee e di forme. Attoniti, quasi intimoriti dalla aggressività dei volumi, i sentimenti si riducono a fughe di luce in gabbie delineate e comunicanti.
Perché? Perché oggi noi abbiamo timore di manifestare i nostri sentimenti così in antitesi con i fatti di una società tecnologica, spersonalizzante e fredda.
Paura di noi stessi e delle nostre più naturali manifestazioni! Ben giunga questa "mitologia borghese" di Vaglica a ricordarci che in fondo a noi stessi, nel più nascosto della nostra anima, l’infanzia, la gioia di vivere, il sogno e la più libera fantasia reclamano, come bestie sacrificali, la dignità d’essere e di vivere.
Di Michele Greco
La lettura d'un opera d'arte deve essere affidata ad una attenta verifica che ne riscontri un conflitto o con la realtà o col sogno. Perché parliamo di conflittualità e non di armonia?
Perché, nel primo caso la realtà non viene mai rappresentata nella sua autenticità; in essa, una volta trascritta, sono immessi valori razionali ed irrazionali che fanno del modello un riferimento discutibile; ne si altera il colore, la prospettiva, l'armonia preesistente. Il conflitto in questo caso e un elemento sensibile, ma anche verificabile, esterno all'opera d'arte; e un dato rilevato nel diretto o indiretto confronto con l'immagine stessa o con l'idea dell'immagine. Nel secondo caso, quello onirico, l'immagine e il racconto di ciò che ci compare dopo il sogno, di ciò che si ricorda o si vuole ricordare; più spesso e solo l'illusione d'un sogno o la visione sperata di come si vorrebbe che la realtà fosse e tale ci apparisse. Gli stessi veristi o iperrealisti o fotografi, danno nelle loro rappresentazioni una realtà indotta, di riflesso, personalizzata sulla base di modelli ideali. La conflittualità e palese perché rimette in discussione la fedeltà della rappresentazione o dei suoi valori estetici e spirituali.
Se osserviamo attentamente le opere di Francesco Vaglica noteremo che l'apparente realtà delle forme ha una trasparenza trasfigurante dove spesso il fondo ambientale diviene materia della forma stessa, carne per lo più, dato il soggetto umano prediletto dall'artista. Per Vaglica e sufficiente conferire un percorso antropologico ad una linea per strutturare immagini da scultura, pluridimensionali nella composizione tutt'altro che statica.
La sua opera é un paziente viaggio in una geografia dimessa dal sovrapporsi dei tempi "moderni"; la geografia dell'embrione sociale che si sviluppa in un sociale ideale, emozionale, perduto. Perfino l'effimero lo si accoglie utopisticamente utile e necessario. Si tratta pertanto di un giovane artista, la cui opera e dedicata alla elaborazione di un progetto utopico di società.
La sua vita e la sua opera si sviluppano lungo la complessa e travagliata fase storica che viviamo, con le incertezza della politica ed i disagi del sociale; oppone a queste una realtà che ci appare "sconosciuta": la realtà dei sentimenti, dell'armonia d'un vita conviviale fatta d'amore. Egli e un testimone attento di questi eventi, non meno che un lucido osservatore della società in cui vive. Distante dal mondo accademico, del quale respinge qualsiasi legame scolastico o affinità intellettiva, rivendica, insieme ad una orgogliosa autonomia di rappresentazione, la sua autenticità conviviale.
All'assenza di pregiudizi, vale a dire alla sua apertura mentale, al suo spirito libero, capace di sottrarsi al conformismo dei media, attribuisce il merito delle sue intuizioni rappresentative.
Di fatto, la non comune capacita di osservazione e di analisi della realtà, la lettura ludica ed acuta degli eventi politici, dei variegati e complessi fenomeni sociali e di costume, diventano, in quanto fattori basilari di conoscenza raccolti dall'esperienza, (senza mediazioni teoriche) il presupposto iconografico della riflessione progettuale. Da ciò emerge, sia la sua autenticità che si stacca dalle idee circolanti sul "presunto" progresso, sia la genuinità della sua facoltà creativa che fa delle "cose" semplici, un monito, un appello perché si riscatti quell'innocenza individuale che e ancora la straordinaria sintesi delle aspirazioni umane.
Michele Greco
Da quaderni di critica d’arte 2008